Il profeta delle sabbie, l’enigma di ZoroastroNel cuore dell’altopiano iranico, in un’epoca avvolta dalle nebbie del tempo che gli studiosi collocano verosimilmente tra il II e l’inizio del I millennio a.C., si colloca l’attività di una figura destinata a imprimere un marchio indelebile sulla storia spirituale dell’umanità: Zoroastro, o Zarathustra, secondo la dizione più vicina all’originale avestico. Il testo in analisi ne introduce la figura sottolineando un paradosso affascinante: la scarsità di certezze biografiche documentate contrasta con l’immensa portata della sua eredità intellettuale e religiosa. Non fu un sovrano né un condottiero; la sua rivoluzione si combatté sul piano delle idee, mirando a trasformare la coscienza individuale e collettiva.

Le fonti più vicine a lui, i Gatha, inni liturgici di straordinaria densità poetica e teologica conservati all’interno del corpus sacro zoroastriano, l’Avesta, non offrono una biografia nel senso moderno del termine. Ci restituiscono piuttosto la voce appassionata di un riformatore, di un sacerdote che si rivolge direttamente alla divinità, Ahura Mazdā, e alla sua comunità, esortandola a una scelta consapevole. Le narrazioni posteriori, intrise di elementi mitici e leggendari – la nascita accompagnata dal riso come presagio di gioia divina, le prove superate contro le macchinazioni dei sacerdoti legati ai culti tradizionali (i Karapan e i Kavi menzionati nei Gatha), le visioni celesti – pur non essendo storicamente verificabili, riflettono la venerazione e l’importanza attribuite al fondatore dalla tradizione successiva. Lo dipingono come un essere eccezionale, un prescelto toccato dalla grazia divina, un emissario di una realtà superiore.

Tuttavia, ridurre Zoroastro a una figura leggendaria significherebbe trascurare la profondità del suo pensiero. Egli operò in un ambiente religioso probabilmente caratterizzato da un pantheon complesso di divinità (i Daēva, che egli demonizzerà) e da pratiche rituali talvolta cruente o legate a sostanze inebrianti (come l’haoma). In questo contesto, la sua predicazione fu dirompente. Proclamò l’esistenza di un unico Dio supremo, Ahura Mazdā, il Signore Saggio, principio increato, fonte di ogni bene, intelligenza ordinatrice del cosmo. Questo non fu un monoteismo esclusivista ab initio nel senso moderno, poiché Zoroastro riconosceva altre entità divine benefiche, gli Yazata (Venerabili) e gli Amesha Spenta (Immortali Benefici), concepiti come emanazioni o aspetti di Ahura Mazdā (come Vohu Manah/Buon Pensiero, Asha Vahishta/Ottima Rettritudine, Spenta Armaiti/Santa Devozione). Tuttavia, il culto era focalizzato su Ahura Mazdā come unica fonte ultima di verità e bene.

Il nucleo della riforma zoroastriana è però eminentemente etico. Zoroastro introdusse un dualismo radicale non tanto ontologico (tra due principi coeterni e indipendenti), quanto etico e cosmico: la contrapposizione tra Asha (Verità, Ordine, Giustizia, Rettitudine) e Druj (Menzogna, Disordine, Ingiustizia, Inganno). Queste non sono mere astrazioni, ma forze attive nel mondo, personificate rispettivamente nello Spirito Benefico (Spenta Mainyu, spesso identificato con Ahura Mazdā stesso o suo diretto agente) e nello Spirito Distruttore (Angra Mainyu, Ahriman nella tradizione posteriore). L’universo è il campo di battaglia di questa lotta incessante, e l’essere umano è chiamato a schierarsi.

Qui risiede un altro elemento rivoluzionario: la centralità della libera scelta e della responsabilità individuale. Ogni persona, attraverso i propri pensieri (Humata), parole (Hukhta) e azioni (Hvarshta), contribuisce attivamente alla vittoria di Asha o al temporaneo prevalere di Druj. Non c’è spazio per un fatalismo passivo; l’individuo è co-creatore del proprio destino e del destino del mondo. Questa visione conferisce una dignità e un ruolo attivo all’umanità inediti nel panorama religioso dell’epoca.

Il messaggio di Zoroastro, veicolato dalla potenza evocativa dei Gatha, trascende la sua figura storica. Sebbene i dettagli fisici o biografici rimangano sfumati – un uomo umile ma dalla voce ferma, come suggerisce il testo – è la forza delle sue idee ad aver attraversato i secoli. Queste idee includono anche una concezione escatologica definita: un giudizio individuale dopo la morte (simbolizzato dal Ponte Chinvat, che si allarga per i giusti e si restringe per i malvagi), una fine dei tempi (Frashokereti) con la sconfitta definitiva del male, la resurrezione dei corpi e l’instaurazione di un regno eterno di pace e perfezione sotto Ahura Mazdā.

L’eco di Zoroastro non si limitò alla Persia. Concetti come il monoteismo etico, il dualismo morale, la demonologia e l’angelologia strutturate, l’idea di un giudizio finale, della resurrezione e di un paradiso celeste sono stati oggetto di studio per la loro possibile influenza sul Giudaismo del Secondo Tempio, e di riflesso sul Cristianesimo e sull’Islam. Zoroastro non cercò potere terreno, ma offrì una scintilla di luce, una visione del divino e dell’umano basata sulla ragione, sulla scelta etica e sulla speranza in un trionfo finale del bene. La sua figura rimane una porta sull’universo spirituale dell’antica Persia e un invito perenne a riflettere sulla nostra capacità di scegliere la via della verità.

Crediti
 Autori Vari
  L'eredità di Zoroastro supera la sua esigua comunità. Idee su bene/male, libero arbitrio e giudizio influenzarono Giudaismo, Cristianesimo, Islam e filosofia (Nietzsche). Simbolo identitario in Iran e rilevante per l'ecologia, affronta sfide demografiche ma la sua etica luminosa perdura nel mondo moderno.
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