L’antica Persia, molto prima di assurgere a potenza imperiale sotto Ciro il Grande e i suoi successori Achemenidi, si presentava come un vasto e disomogeneo territorio, un altopiano incastonato tra catene montuose imponenti e vastità desertiche, solcato da fiumi vitali ma incostanti. Questo paesaggio, tanto grandioso quanto severo, non era solo la cornice geografica, ma un elemento attivo nel plasmare le culture e le società che lo abitavano. Il testo analizzato evoca efficacemente questa terra come un crogiolo di culture e contraddizioni, un luogo dove la lotta per la sopravvivenza contro gli elementi naturali si intrecciava con tensioni sociali profonde.
Il periodo in cui si presume sia vissuto Zoroastro (una datazione controversa, ma spesso collocata tra il 1500 e il 1000 a.C.) era probabilmente caratterizzato da una frammentazione politica e sociale. L’organizzazione statale centralizzata era ancora lontana; predominavano piuttosto strutture tribali, claniche e forse piccoli regni locali. La dicotomia tra stili di vita diversi era palpabile: da un lato le tribù nomadi o seminomadi, dedite alla pastorizia e spesso viste come bellicose e instabili; dall’altro le comunità agricole sedentarie, concentrate nelle aree più fertili, impegnate a sviluppare sistemi di irrigazione e a garantire la sussistenza attraverso il lavoro dei campi. Questo dualismo non era solo economico, ma anche culturale e, potenzialmente, ideologico, generando attriti per il controllo delle risorse – acqua, terre coltivabili, pascoli – che si riflettevano inevitabilmente nella sfera religiosa e mitologica.
Il panorama spirituale di questa Persia arcaica era dominato da un politeismo radicato in un antico patrimonio indo-iranico. Le divinità principali erano spesso personificazioni di forze naturali o concetti astratti divinizzati. Il testo menziona specificamente Mithra, figura complessa associata al sole, ai patti, alla giustizia e alla guerra, e Anahita, potente dea delle acque, della fertilità e della guarigione. Accanto a loro, esisteva un pantheon variegato di Ahura (signori, divinità positive) e Daēva (demoni o dèi rifiutati nella successiva riforma zoroastriana, ma probabilmente venerati in precedenza). Il culto si esprimeva attraverso rituali complessi, gestiti da una classe sacerdotale specializzata – i precursori dei Magi noti in epoche successive. Questi riti includevano probabilmente offerte, libagioni (forse l’uso rituale dell’haoma, una bevanda inebriante con corrispettivi nel soma vedico) e sacrifici animali, talvolta cruenti, intesi a placare l’ira divina, assicurare la benevolenza degli dèi per i raccolti o le imprese belliche, o mantenere l’ordine cosmico.
Questa religione, come sottolinea il testo, non era necessariamente percepita come benevola. Gli dèi potevano apparire capricciosi, esigenti, e il rapporto con il divino era spesso mediato dalla paura e dalla necessità di adempiere scrupolosamente a obblighi rituali. I sacerdoti detenevano un potere considerevole, non solo spirituale ma anche sociale ed economico, fungendo da intermediari tra il mondo umano e quello divino, interpretando presagi e mantenendo il controllo sulle pratiche cultuali e sulle conoscenze tradizionali. È plausibile che questo sistema generasse disuguaglianze e potesse essere percepito come oppressivo, specialmente da chi si trovava ai margini della gerarchia sociale o metteva in discussione la validità di certe pratiche.
In questo scenario di tensioni latenti – tra nomadi e sedentari, tra élite guerriere e contadini, tra diverse concezioni del divino e del potere sacerdotale – si colloca l’emergere di Zoroastro. La sua riforma non nacque nel vuoto, ma fu una risposta diretta, sebbene rivoluzionaria, alle condizioni del suo tempo. L’osservazione delle ingiustizie sociali, della strumentalizzazione della religione a fini di potere, della violenza rituale (i sacrifici cruenti sono esplicitamente condannati nei Gatha), della mancanza di una chiara dimensione etica nel rapporto con il divino, potrebbero averlo spinto a cercare una visione alternativa. L’idea di un unico Dio supremo, Ahura Mazdā, intrinsecamente buono e giusto, che richiede non sangue ma pensieri retti, parole vere e azioni giuste (Humata, Hukhta, Hvarshta), appare come una rottura radicale con il passato. La Persia pre-zoroastriana, con le sue contraddizioni e i suoi conflitti, non fu quindi solo lo scenario, ma il terreno fertile, la sfida esistenziale che stimolò la nascita di una delle più influenti rivoluzioni spirituali della storia umana, un tentativo di imporre un ordine etico e razionale su un mondo percepito come caotico e moralmente ambiguo.
L'eredità di Zoroastro supera la sua esigua comunità. Idee su bene/male, libero arbitrio e giudizio influenzarono Giudaismo, Cristianesimo, Islam e filosofia (Nietzsche). Simbolo identitario in Iran e rilevante per l'ecologia, affronta sfide demografiche ma la sua etica luminosa perdura nel mondo moderno.
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