Il ritorno di Zoroastro alla sua comunità, dopo l’esperienza trasformativa dell’incontro con Ahura Mazdā, segna l’inizio della fase più ardua e concreta della sua missione: la predicazione pubblica. Non si trattava semplicemente di condividere una visione interiore, ma di sfidare attivamente un sistema religioso, sociale e politico profondamente radicato. Il testo analizzato descrive efficacemente questa transizione dalla rivelazione personale alla battaglia per le menti e i cuori del suo popolo, una battaglia combattuta non con armi convenzionali, ma con la forza della parola e della convinzione etica.
Le prime dichiarazioni pubbliche di Zoroastro, così come riportate dalla tradizione e riecheggiate nello spirito dei Gatha, furono dirette e radicali. L’affermazione che Ahura Mazdā, il creatore di tutto ciò che è buono, non esige altro che giustizia e azioni rette e che non sono i sacrifici né il sangue ciò che gli dei cercano, rappresentava un attacco frontale alle pratiche cultuali allora dominanti. I sacrifici animali, in particolare quelli cruenti e forse associati a rituali estatici legati all’haoma (condannati nei Gatha), erano probabilmente centrali nella religione tradizionale. Proporre un culto basato sulla rettitudine morale individuale – la scelta consapevole tra Asha (Verità, Ordine, Giustizia) e Druj (Menzogna, Caos, Ingiustizia) – significava minare le fondamenta stesse del potere sacerdotale, che si basava sulla gestione e l’interpretazione di quei rituali.
L’opposizione dei sacerdoti tradizionali, identificati nel testo genericamente come Magi (un termine che avrà una storia complessa, ma che qui indica i rappresentanti dell’antica religione avversata da Zoroastro; i Gatha usano termini più specifici come Karapan e Kavi, forse sacerdoti e principi ostili), fu immediata e veemente. Zoroastro non venne percepito come un saggio riformatore, ma come un ribelle, un pericoloso agitatore, un eretico che bestemmiava gli dèi ancestrali e rischiava di sovvertire l’ordine cosmico e sociale. Le accuse mosse contro di lui – eresia, blasfemia, follia – sono tipiche reazioni delle strutture di potere religioso di fronte a messaggi che ne minacciano l’autorità e i privilegi. La strategia fu quella di isolarlo, screditarlo presso i governanti locali e la popolazione, dipingendolo come un pazzo o un visionario disturbato dalle sue stesse elucubrazioni solitarie.
La tradizione racconta di un lungo periodo di difficoltà, forse dieci anni, durante il quale Zoroastro affrontò rifiuto, isolamento e persecuzione. L’esilio dalla sua terra natale, menzionato nel testo, lo costrinse a un’esistenza itinerante, predicando a piccoli gruppi, cercando ascolto tra tribù e comunità diverse. Questa fase fu cruciale per affinare il suo messaggio e temprarne la fede. Fu durante questi anni di peregrinazione che, secondo i racconti, egli spiegò più dettagliatamente la sua cosmologia dualistica: la lotta incessante tra Asha e Druj come chiave interpretativa dell’esistenza, e la responsabilità di ogni individuo nel contribuire alla vittoria finale del bene, diventando un alleato (ashavan) di Ahura Mazdā.
I tentativi di assassinio e le cospirazioni per avvelenarlo, narrati dalla tradizione agiografica, sottolineano la pericolosità percepita del suo messaggio e la determinazione dei suoi avversari. La sua sopravvivenza a questi attentati venne interpretata come segno della protezione divina. L’episodio del dibattito pubblico con i Magi è particolarmente significativo: rappresenta lo scontro diretto tra la vecchia e la nuova visione del mondo. Zoroastro non si sarebbe sottratto al confronto intellettuale, usando la logica e l’appello alla coscienza morale per mettere in discussione le contraddizioni e la crudeltà dei vecchi riti (cerimonie di sangue e terrore). La sua calma e la forza delle sue argomentazioni avrebbero iniziato a incrinare le certezze di alcuni, suscitando dubbi e ispirando le prime conversioni significative, tra cui, secondo la tradizione, quella del cugino Maidhyoimanha.
Tuttavia, l’opposizione dell’establishment rimaneva forte. La maggioranza della popolazione e dei potenti restava legata alle tradizioni ancestrali o intimorita dalla reazione dei sacerdoti. Per anni, la causa di Zoroastro sembrò destinata al fallimento, confinata a un piccolo circolo di seguaci. La sua perseveranza, alimentata dalla fede incrollabile nella visione ricevuta e nella vittoria finale di Asha, fu determinante. Egli comprese forse che la sua missione immediata era piantare i semi di una trasformazione che avrebbe richiesto tempo per germogliare.
La svolta avvenne, secondo la tradizione consacrata, quando il suo messaggio raggiunse la corte di un sovrano locale, il kavi Vishtaspa. Questo personaggio, la cui collocazione storica e geografica è dibattuta (forse nella Battriana o in un’altra regione orientale dell’altopiano iranico), è presentato come un monarca interessato alla verità e all’ordine. L’incontro con Vishtaspa, anch’esso seguito da dibattiti, prove e resistenze interne alla corte (inclusi intrighi dei sacerdoti locali), si concluse con la conversione del re e della sua famiglia. Questo evento fu decisivo: il patrocinio di Vishtaspa fornì a Zoroastro e alla sua comunità la protezione e le risorse necessarie per diffondere il messaggio su scala più ampia, trasformando lo Zoroastrismo da un movimento minoritario perseguitato a una religione riconosciuta e potenzialmente influente. L’incontro con Vishtaspa chiude il periodo delle prove e apre un nuovo capitolo nella storia dello Zoroastrismo.
L'eredità di Zoroastro supera la sua esigua comunità. Idee su bene/male, libero arbitrio e giudizio influenzarono Giudaismo, Cristianesimo, Islam e filosofia (Nietzsche). Simbolo identitario in Iran e rilevante per l'ecologia, affronta sfide demografiche ma la sua etica luminosa perdura nel mondo moderno.
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