Il re Shantanu era il quarantasettesimo discendente della nobile stirpe di kshatriya che provenivano da Brahma attraverso il deva della luna, Chandra. Suo padre si chiamava Pratipa, ed era stato un grandissimo re, amato dai sudditi per la sua saggezza e rettitudine. Shantanu ricordava sempre un episodio raccontatogli dal padre quand’egli era ancora molto giovane.
Un giorno mentre meditavo su Vivasvan, gli aveva narrato Pratipa, una ragazza sorse dalle acque del Gange e, con l’evidente desiderio di avermi come marito, si sedette sulla mia coscia destra. Io le dissi: ‘Cara ragazza, non sai che una donna non deve avvicinarsi a un uomo mentre questi sta meditando? Inoltre tu ti sei seduta sulla mia coscia destra, come di solito fanno le figlie o le nuore. Quindi io non posso accettarti come moglie, ma se lo desideri potrai diventare mia nuora.’ Io so che quella ragazza tornerà e ti chiederà di sposarla. Non rifiutarla, ma se vuoi ottenere grandi meriti non domandarle mai la sua identità né cosa voglia realmente da te.
Erano passati gli anni, e Pratipa era diventato anziano. Così si era ritirato nella foresta per spendere gli ultimi anni di vita nel servizio devozionale e nella meditazione.
Shantanu aveva ereditato il trono del padre e governava con eguale rettitudine e capacità.
Ancora giovane, egli amava particolarmente le lunghe passeggiate sulle rive del Gange, da solo, assorto in uno stato mentale sereno e pacifico. Si sentiva soddisfatto perché il popolo, felice del suo modo di governare, rispettava le leggi e viveva pacificamente.
Un giorno, mentre camminava senza meta sulle rive del fiume sacro, vide una bellissima ragazza che, senza nessuno che la accompagnasse, gli veniva incontro guardandolo con insistenza. La situazione era alquanto insolita poiché il tramonto si stava apprestando e di solito a quell’ora le ragazze non andavano in giro sole. Lui si avvicinò.
Cosa fai qui da sola? le chiese con tono gentile. Il giorno sta per terminare e il sole si è già nascosto dietro l’orizzonte. Tra poco sarà buio, ed è pericoloso per una ragazza andare in giro senza accompagnatori. Lei non rispondeva.
Hai un aspetto soave e dolce, riprese Shantanu, e la tua bellezza è irresistibile. Mi incuriosisci. Dimmi, chi sei e da dove vieni? Chi sono tuo marito e i tuoi genitori?
Non ho un marito, sono una ragazza nubile, rispose lei, e sto passeggiando per queste rive senza un motivo né una meta precisa. Per quanto riguarda il mio nome e la mia provenienza non voglio, per ora, rivelarli a nessuno. Tu, piuttosto, dimmi, chi sei? Dai vestiti che indossi sembri uno kshatriya di nascita nobile.
Il mio nome è Shantanu, rispose lui, e sono il re di queste terre. Non importa se per ora non vuoi dirmi il tuo nome; sappi però che hai già conquistato il mio cuore e che ti vorrei al fianco come moglie.
La ragazza sorrise. Il re era un uomo giovane, affascinante e dall’aspetto fiero; anch’ella si sentiva attratta a lui.
Come potrei rifiutare una simile occasione? Accetto senz’altro, ma ho necessità di porti delle condizioni.
A quelle parole Shantanu era già felice. Quella ragazza aveva una voce così gentile, quasi melodiosa, che addolciva il cuore. Si sentiva rapito da quella bellezza celestiale e pronto a qualsiasi cosa pur di averla con sé.
Io sono re di vasti territori e non ho difficoltà a soddisfare qualsiasi tuo desiderio. Dimmi cosa vuoi e lo avrai.
La misteriosa ragazza disse:
Non devi mai esigere di sapere il mio nome e la mia provenienza, e neanche obiettare né criticare qualsiasi cosa farò, anche quelle che sembreranno le più strane. Se accetti queste condizioni senza neanche sapere perché io le ponga, sarò felice di sposarti e venire a vivere con te. Ma se trasgredirai al patto me ne andrò immediatamente. Pensaci bene, dunque.
Il re era così preso da quella ragazza che non pensò neanche a cosa ciò potesse comportare e accettò qualsiasi condizione. Insieme andarono ad Hastinapura e pochi giorni dopo il matrimonio fu celebrato.
Passò più di un anno da quel giorno e fu un periodo di intensa lietezza e felicità. Il re era felice e soddisfatto insieme alla sua amata regina.
Dopo poco più di un anno ella partorì un maschio, ma la contentezza fu soffocata da una tragedia inaspettata: fra lo stupore e l’orrore di tutti, la regina prese il neonato e lo gettò nel Gange, uccidendolo. Shantanu, che aveva tanto aspettato il suo erede, era disperato, ma non poté dire niente, ricordando le condizioni poste: non doveva ostacolare né criticare la moglie, altrimenti questa l’avrebbe abbandonato. A parte quello che sembrò a tutti un momento di follia, per il resto era una donna eccezionale, amorevole, gentile, profondamente affezionata al marito e ai suoi doveri di moglie e di regina. Poi nacque il secondo figlio, che seguì la stessa sorte del primo. E poi il terzo e il quarto. Shantanu era disperato. Non riusciva a capire le ragioni di un comportamento del genere. Cosa la spingeva a uccidere i suoi figli? Ma aveva troppa paura di perderla per protestare.
Negli anni che seguirono, uccise sette dei suoi figli, tutti allo stesso modo, annegandoli nel fiume.
E arrivò l’ottava gravidanza. Quando il bimbo nacque, la regina lo prese e con calma agghiacciante si diresse verso il fiume, con l’evidente intenzione di affogare anche quel neonato. Ma Shantanu non riuscì più a tollerare l’orrore che lo pervadeva.
Ora basta, le gridò. Cosa fai? Che mostro sei? Perché uccidi i nostri figli? Io non capisco perché commetti questi crimini, ma ti impedirò di uccidere ancora.
Tuttavia anche lui si rendeva conto che doveva esserci un mistero dietro quei comportamenti strani. Infatti la regina, nonostante la violenta sfuriata, non manifestò nessuna delle reazioni che una persona normale ha in tali circostanze. Non reagì in nessuna maniera, aveva solo l’aria triste, dispiaciuta.
Mi dispiace di averti fatto soffrire, disse lei con la solita voce suadente, ma c’è una ragione a tutto questo. Credimi. Una volontà superiore a noi tutti mi ha forzata a uccidere i nostri figli.
Si interruppe, guardandosi attorno.
Ora dovrò andare via. Ricordi la condizione che ti posi? Se mi avessi contrariata io ti avrei lasciato. Anche ciò fa parte dei piani del destino, questa forza tante volte a noi incomprensibile. Io devo andare via, ora. Questo bambino, che chiamerò Devavrata, verrà via con me, e quando sarà cresciuto te lo riporterò e resterà con te.
Shantanu non voleva perderla, e sentiva dentro di sé un grande dolore, ma fu anche preso da una forte curiosità di sapere cosa aveva causato quei drammatici avvenimenti.
Ma spiegami almeno cos’è successo. Perché ti sei comportata così? Perché hai ucciso i nostri figli? Cosa o chi ti ha forzata?
Io sono Ganga, la dea del fiume Gange, rispose lei. Questo grande fiume, santificato dalla testa del dio Shiva, che scende dai pianeti celesti e che continua a scorrere su questa terra, è mio.
Shantanu era sorpreso: sua moglie una dea? La dea del fiume Gange? Non poteva crederci.
Se vuoi posso raccontarti cosa successe nella tua vita precedente e il motivo che mi ha indotta ad annegare i nostri figli.
E iniziò a narrare.
Nella vita precedente tu eri il re terreno Mahabhishaka. Le tue qualità di virtù e saggezza erano tali che eri in grado di recarti in qualsiasi momento nei pianeti celesti e soffermarti a parlare e a tenere compagnia a Indra.
Un giorno tu eri lì, insieme a grandi saggi e deva di questo universo, quando mi notasti fra di loro. Fosti invaso da un irrefrenabile desiderio sessuale che, per quanto provassi, non riuscisti a controllare. Io mi accorsi di questo tuo sentimento e in cuor mio desiderai poterti contraccambiare.
Purtroppo fra noi un’unione era impossibile, in quanto io ero una dea e tu un mortale; dunque il solo anelito che avevamo provato era già di per sé un atto peccaminoso. Brahma si accorse di ciò che stava accadendo e ci maledisse, dicendo: ‘Poiché siete caduti preda di un desiderio sessuale illecito, non siete degni di restare su questi pianeti; dunque nascerete sulla Terra, in quel mondo privo di colori e di reali bellezze. Vi sposerete e vivrete insieme per un certo periodo. Dopodiché vi lascerete e soffrirete molto per questa separazione. Che questa sia la vostra espiazione. E’ così successe. Tu sei nato come figlio del re Pratipa, e io ora sono qui con te, come una comune mortale.
Shantanu ascoltava. Naturalmente non ricordava nulla della sua vita precedente, in quanto gli uomini dimenticano tutto al momento della nascita; tuttavia qualcosa lo spingeva a credere a quella storia.
Ma cosa c’entra tutto ciò con l’uccisione dei nostri figli? le chiese. Ganga riprese.
Nella vita precedente questi bambini erano gli otto Vasu e si sono ritrovati a nascere come nostri figli per effetto di una condanna simile alla nostra. Ascolta; ti racconterò in breve cosa accadde.
Un giorno essi stavano passeggiando con le mogli in una foresta del loro pianeta celeste, quando videro una stupenda mucca che apparteneva al saggio Vasishtha. Una delle donne ne fu così incantata che pregò il marito di prenderla per portarla nei loro giardini. Incapace di ribattere, egli portò via con sé il pacifico animale.
Quando il saggio tornò all’eremo, non trovò più la sua mucca, necessaria allo svolgimento dei sacrifici. Per un pò la cercò, poi in meditazione tornò indietro nel tempo, al momento in cui si era svolto il furto e, resosi conto dell’accaduto, lanciò una potente maledizione contro i Vasu. ‘Coloro che hanno rubato la mia mucca cadranno nel pianeta dei mortali, dove la vita è breve e colma di angosce.’ In seguito, grazie all’intercessione di Brahma, Vasishtha modificò la maledizione in modo che solo colui che aveva preso la mucca sarebbe rimasto a lungo in questo mondo, mentre gli altri sarebbero nati e subito dopo ritornati nel loro pianeta d’origine.
Quando gli otto deva furono a conoscenza del loro destino, vennero da me e mi dissero: ‘Noi sappiamo che anche tu hai ricevuto una maledizione che ti impone di scendere nel sistema planetario mediano; dunque ti chiediamo di diventare nostra madre e di annegarci nelle acque del Gange subito dopo la nostra nascita, così da renderci possibile un immediato ritorno al nostro pianeta.’ Promisi loro di farlo.
I sette figli che ho ucciso sono coloro che non avevano partecipato direttamente al furto della mucca, mentre quest’ultimo, che io chiamerò Devavrata, è il vero colpevole. Egli vivrà a lungo su questa terra, e sarà un uomo glorioso e rispettato.
Capisci ora, concluse Ganga, perché mi sono comportata in quella maniera? Avevo promesso ai Vasu di restituirli al loro mondo celeste. Ora tutto era chiaro; tuttavia, giacché l’appagamento della curiosità è in circostanze simili un magro palliativo, Shantanu, placata la sete di sapere, si sentì ad un tratto infelice. Lei ora sarebbe dovuta andare via.
Ti ho amato molto e vorrei restare con te, ma non posso. Ci rivedremo, disse lei. E scomparve.
Sedici anni dopo Ganga tornò e gli affidò il figlio, Devavrata, che era bello come un sole. Subito dopo il giovane fu nominato principe ereditario al trono e non trascorse molto tempo che a corte tutti si sentirono conquistati dai suoi modi amabili ed educati.
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