La culla dondola su un abisso, il buonsenso ci dice che la nostra esistenza è soltanto un fuggevole spiraglio di luce tra due eternità di tenebre. Benché le due eternità siano gemelle identiche, l’uomo di norma, contempla l’abisso prenatale con più serenità di quanto non contempli quello verso il quale è diretto (a circa quattrocentocinquanta battiti cardiaci orari). Io so, tuttavia, di un giovane sensibile che provò qualcosa di simile al panico, quando vide per la prima volta alcuni vecchi film girati in famiglia poche settimane prima della sua nascita. Contemplò un mondo in pratica immutato – la stessa casa, le stesse persone – e si rese conto allora che non vi era esistito affatto e che nessuno aveva pianto la sua assenza. Ad atterrirlo in modo particolare fu la vista di una nuovissima carrozzella per bambini che se ne stava là sulla veranda con l’aspetto compiaciuto e invadente di una bara; anche quella era vuota, come se, nel corso a ritroso degli eventi, le sue stesse ossa si fossero disintegrate.
Fuggevole spiraglio di luce
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