La paura dell'oblioIo ho l’abitudine di sorvegliare continuamente la mia memoria e contare ogni sera i miei ricordi come l’avaro conta i suoi marenghi, e la notte svegliarmi per paura che me ne manchi uno. Quaderni e quadernetti mi aiutano, ma non basterebbero se con cura meticolosa io non pensassi di ravvivare i ricordi piú deboli, e continuamente distinguere quelli che minacciano di confondersi. Mi sono arrampicato fino a un piccolo paese di montagna per sentire un certo odore di foglie mescolato a quello del fondo stradale, prima che il ricordo di un fatto piacevole, che si svolse in quel luogo, si perdesse in un secondo ricordo, questo qui spiacevole, di un altro fatto che si è svolto in un luogo simile in tutto uguale al primo fuorché nell’odore.
I più grandi doveri verso gli altri non mancano mai di consistere in doveri verso noi stessi, e l’ingrandirsi o rimpicciolirsi della nostra più alta felicità ci dichiara ogni volta se siamo o no sul retto sentiero.
Per questo, le malattie della memoria sono fra le più paurose. Quale mano di ladro può essere cosí sacrilega come quella che si introduce nel più interno di noi stessi per rubarci i ricordi? Tutto è incerto e precario in questo mondo, tranne le cose che abbiamo fatte, le quali pare che ci appartengano per la vita e per la morte: e tuttavia anche queste possono non appartenerci più il giorno in cui non riusciamo a ricordarle.

Non c’è mal di capo o mal di denti che sia capace di dare a un volto umano l’espressione pietosa di quando raggrinziamo la fronte cercando di ricordare qualcosa che ci sfugge.

Il dolore di chi, riaprendo la propria casa, vede che i ladri l’hanno svaligiata, è nulla al confronto della disperazione che si prova quando, al posto di un ricordo, si trova nel cervello un punto nero e doloroso.
Io conosco una persona, vittima di questi continui furti che la impoveriscono dell’unico bene ch’è il passato, la quale ha perduto ormai la pazienza, e sta sempre all’erta, e si dà a inseguire anche i più futili ricordi, e non si addormenta quasi più per paura di venire ancora una volta depredata.
È nel sonno infatti ch’egli ridiventa ogni notte meno maturo, acquistando, in luogo della giovinezza, che s’era ormai cambiata in memoria, la triste ingenuità della smemoratezza.
Tre sere dopo averlo veduto partire per Milano, lo rividi a Catania. Bussava al portone di un amico comune per domandargli il nome del portinaio.
In piazza della Scala, s’era accorto di averlo dimenticato, ed era tornato a precipizio.

Crediti
 Vitaliano Brancati
 I piaceri
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