Circa cinquemila anni fa, nel corso del suo peregrinare, il santo ed erudito Suta Gosvami, desiderando portare i propri omaggi ad alcuni saggi che da anni svolgevano un impegnativo sacrificio, giunse in una radura della foresta di Naimisha, in India, la splendida nazione conosciuta a quei tempi con il nome di Bharata-varsha.
I rishi, dal cuore completamente purificato da ogni identificazione con la materia, riconobbero immediatamente il figlio di Romaharshana, che nonostante la sua giovane età era già considerato degno di ogni rispetto. Lo salutarono e gli offrirono un seggio. Così, dopo aver mangiato del cibo offerto alle divinità e essersi rimesso dalle fatiche del lungo viaggio, Suta si accomodò su un tappetino tessuto con erba kusha e offrì rispettosi ossequi a tutti.
Noi sappiamo che in questi ultimi anni hai viaggiato molto, dissero i saggi, e che sei stato in numerosi luoghi sacri. Da dove provieni, ora, o Suta? Raccontaci tutto; noi ti ascoltiamo.
Provengo dalla santa arena del grande sacrificio dei serpenti di Maharaja Janamejaya, rispose Suta, ove mi è stato concesso l’onore di ascoltare la sacra e meravigliosa storia chiamata Maha-bharata, composta da Vyasa. Subito dopo, colto da curiosità, sono andato a visitare Samanta-panchaka, il luogo in cui tempo fa si combatté la battaglia fratricida tra i figli di Dritarashtra e quelli di Pandu, i protagonisti di questa fantastica narrazione, che è in sé stessa una meditazione sul Signore Supremo Shri Krishna e arreca a tutti, oratori e ascoltatori, il massimo del beneficio spirituale. Se volete posso ripetervela dall’inizio, esattamente come l’ho ascoltata, senza aggiungervi niente di mio.
E allora, comodamente seduti secondo le varie posizioni dello yoga sui loro tappetini di erba santa, i saggi si apprestarono con grande felicità ad ascoltare il Maha-bharata.
Ci furono momenti di grande giubilo quando i Pandava con Dristadyumna, Satyaki, Shikandi, i cinque figli di Draupadi e gli altri sopravvissuti al grande massacro, fecero ritorno all'accampamento. E dopo che tutti si furono cambiati i vestiti, lavati e riposati, montarono sulle rispettive cavalcature ed entrarono indisturbati negli accampamenti nemici, come era d'uso in quel tempo per i vincitori.
L'avvicinamento di Arjuna a Jayadratha non era comunque l'unico motivo di interesse della giornata, né il Pandava era il solo a combattere tanto mirabilmente. A diversi chilometri di distanza Drona, dopo aver provocato sfaceli nella prima linea avversaria, si era avvicinato pericolosamente a Yudhisthira, il quale coraggiosamente ne aveva accettato la sfida.
Penetrando nel territorio dei Matsya dal fronte meridionale, i Trigarta invasero la regione, frantumando senza difficoltà ogni difesa; privi del valido comando di Kichaka i soldati vennero travolti in poche ore e le mandrie rubate.
A quei tempi, tra le classi sociali superiori, gli kshatriya erano gli unici cui fosse permesso cacciare, ma solo determinate specie animali. Essi imparavano così ad uccidere per difendere i loro territori.
Arjuna già conosceva quel tragitto per averlo percorso durante la campagna militare che aveva preceduto lo svolgimento del rajasuya. Arrivato alla montagna Gandhamadana ricordò di averla già scalata e di aver tanto desiderato in seguito di poterla rivedere. Dopo essersi deliziato di quelle bellezze naturali, continuando il suo cammino arrivò al monte Indrakila. Lì decise di sostare.
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