Viviamo facendo assegnamento sull’avvenire
In alcune situazioni, il rispondere: niente a una domanda circa la natura dei propri pensieri, può essere, nell’uomo, una finta. Lo sanno bene le persone amate. Ma se questa risposta è sincera, se rappresenta quel particolare stato d’animo in cui il vuoto diviene eloquente, in cui la catena dei gesti quotidiani viene interrotta e il cuore cerca invano l’anello che la ricongiunga, è allora come il primo segno dell’assurdo.
Un giorno, sorge il perché e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. Comincia, questo è importante. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza, lo desta e provoca il seguito, che consiste nel ritorno incosciente alla catena o nel risveglio definitivo. Dopo il risveglio viene, col tempo, la conseguenza: suicidio o ristabilimento. In sé, la stanchezza ha qualche cosa di disgustoso, ma, in questo caso, devo concludere che è vantaggiosa. Infatti, tutto comincia con la coscienza e nulla ha valore se non per mezzo di questa.

Di solito, viviamo facendo assegnamento sull’avvenire: domani, più tardi, quando avrai una posizione, con l’età comprenderai. Queste incoerenze sono straordinarie, dato che, alla fine dei conti, si tratta di morire. Con tutto ciò, giunge il giorno in cui l’uomo si accorge o dice di aver trent’anni, affermando, così, la propria giovinezza. Ma, nello stesso momento, egli si pone in rapporto con il tempo, vi prende posto, riconosce che si trova a un certo punto di una curva, che confessa di dover percorrere. Egli appartiene al tempo e, dall’orrore che lo afferra, lo riconosce come il suo peggior nemico. Il domani: egli desiderava il domani, quando tutto il suo essere avrebbe dovuto ribellarvisi. Questa rivolta della carne è l’assurdo.

Crediti
 Albert Camus
 Il mito di Sisifo
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